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San Massimo di Torino – Sulla Pentecoste

Sulla Pentecoste
Sermone 56 di San Massimo di Torino

1. Non vi riuscì spiacevole molti giorni or sono, come ricordate, fratelli, la nostra predicazione nella quale abbiamo narrato che la carne del Signore, risorta da morte, germogliò dal sepolcro come con lo splendore di un fiore; e questo sepolcro l’evangelista attestò che si trovava in un piccolo giardino (Gv 19, 41), motivo per cui non abbiamo parlato a sproposito. Era opportuno, infatti, che un fiore tanto prezioso germogliasse in un giardino e il seme affidato a un suolo fecondo entro un recinto domestico e fra piante rigogliose producesse la salvezza per tutti. Infatti la risurrezione di Cristo è la redenzione dei popoli. Dunque il Salvatore assume il corpo risorto in un giardino e, dopo che la sua carne era ormai morta, rifiorisce tra alberi in fiore e candidi gigli e germoglia dal sepolcro in modo da trovare ogni cosa germogliante e splendente Così infatti, in un certo senso, dopo la frigida sepoltura del freddo invernale tutti gli elementi si affrettano a germogliare per risorgere anch’essi alla risurrezione del Signore. Certamente, infatti in seguito alla risurrezione di Cristo l’aria diventa più sana, il sole più caldo, la terra più feconda; da allora il pollone verdeggia in arbusto, il grano cresce divenendo messe, la vite si sviluppa in tralci. Se dunque, quando rifiorisce la carne di Cristo, tutto si riveste di fiori, è necessario che, quando egli porta frutti, anche tutte le cose fruttifichino, come dice lo stesso Signore: Se il chicco di grano , cadendo in terra, non morirà, rimane solo; se invece morirà, produce molto frutto (Gv 12, 24s). Rifiorì dunque il Signore, quando risorse dal sepolcro; fruttifica, quando sale al cielo (At 1, 9). È fiore, quando è generato dalle parti inferiori della terra, è frutto, quando è collocato in un’altissima sede. È grano, come egli stesso dice, quando da solo soffre la croce, è frutto, quando è circondato dalla grandissima fede degli apostoli. Infatti, in questi quaranta giorni dopo la risurrezione trattenendosi con i discepoli, li istruì con tutta la sapienza nella sua pienezza e con tutta la fecondità dei suoi insegnamenti li indirizzò verso frutti salutari. Poi salì al cielo, portando evidentemente al Padre il frutto della carne e lasciando nei discepoli i seguaci della giustizia.
2. Dunque il Salvatore salì al Padre. La vostra Santità ricorda che abbiamo paragonato il Salvatore all’aquila del Salterio, della quale abbiamo letto che era stata rinnovata la giovinezza (Sal 102, 5) . C’è infatti una somiglianza non piccola. Come l’aquila abbandona i luoghi bassi, cerca quelli elevati e sale presso il cielo, così anche il Salvatore abbandonò le bassure degli inferi, cercò i luoghi più elevati del paradiso, penetrò nel sommo dei cieli. E come l’aquila, lasciate le sozzure terrene, volando in alto gode della salubrità di un’aria più pura, così anche il Signore, abbandonando la feccia dei peccati terreni, volando tra i suoi santi, si allieta dell’innocenza di una vita più pura. In tutto, dunque, il paragone con l’aquila si addice al Salvatore. Ma, come ce la caviamo, visto che l’aquila spesso rapisce la preda e spesso prende l’altrui? Nemmeno in questo, tuttavia, è diverso il Salvatore. In un certo senso, sottrasse la preda quando portò in cielo l’uomo che prese, dopo averlo rapito alle fauci dell’inferno, e lo condusse come prigioniero in alto, dopo averlo strappato alla prigionia, mentre era servo del dominio altrui, cioè del potere del demonio, come sta scritto nel Profeta: Salendo in alto condusse prigioniera la prigionia, diede doni agli uomini (Sal 67, 19). Questa affermazione certamente va intesa nel senso che il Signore fece sua prigioniera, strappandola a lui, la prigionia dell’uomo che il diavolo aveva assoggettato a sé, e portò, come dice la stessa prigionia, catturata, nell’alto del cielo. L’una e l’altra prigionia, dunque, vengono chiamate con un solo vocabolo, ma l’una non è uguale all’altra. Infatti, mentre la prigionia del diavolo assoggetta alla schiavitù, la prigionia di Cristo restituisce alla libertà.
3. Salendo in alto, dice, condusse prigioniera la prigionia. Con quale efficacia il Profeta descrive il trionfo del Signore! Un corteo di prigionieri soleva, come dicono, precedere il cocchio dei re che trionfavano. Ecco che la gloriosa prigionia non precede, ma accompagna il Signore che sale al cielo; non è condotta davanti cocchio, ma essa trasporta in alto il Salvatore. Per un fatto misterioso, mentre il Figlio di Dio portava in cielo il Figlio dell’uomo la stessa prigionia è portata e porta. Quanto all’affermazione: Diede doni agli uomini, questo è un distintivo del vincitore. Infatti, dopo il trionfo, il vincitore distribuisce sempre doni e stando nel proprio regno colma di regali i servi e i servi gli fanno festa; così anche Cristo Signore vittorioso, sedendo alla destra di Dio Padre dopo il trionfo sul diavolo (Sal 109, 1), oggi ha distribuito in dono ai discepoli non talenti d’oro, non argento, ma i doni celesti dello Spirito Santo, così che, tra le varie grazie, gli apostoli parlavano anche in varie lingue (At 2, 4), in modo che cioè uno di nazionalità ebrea proclamava la gloria di Cristo con l’eloquenza propria della facondia romana, e gli orecchi stranieri, poiché non avrebbero compreso ciò veniva predicato in ebraico, apprendevano nella propria lingua la redenzione del genere umano. Ogni lingua si scioglie per predicare Cristo, perché ogni eloquio confessi la sua maestà, come dice il santo Davide: Non è linguaggio e non sono parole di cui non si oda il suono (Sal 18, 14). E non meravigliatevi perché abbiamo detto che il Figlio siede alla destra del Padre. Siede infatti alla destra non perché maggiore del Padre, ma perché non si creda inferiore al Padre, come gli eretici sogliono affermare in modo blasfemo. Come infatti la divinità non conosce gerarchia, così la Sacra Scrittura si oppone alle bestemmie.

(Tratto da Massimo di Torino, Sermoni, Roma, Città Nuova, 2003, pp. 236-239)

 

 


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