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Leggere i Padri

LEGGERE I PADRI

Estratti da una omelia dell’Arcivescovo Chrysostomos di Etna

I tre Santi Ierarchi
I tre Santi Ierarchi

La voce dei Padri risuona ovunque nella nostra fede. È alla voce dei Padri che ci rivolgiamo per confermare in forma vivente la fede che conserviamo nelle nostre confessioni, nelle nostre dichiarazioni di fede e nelle nostre tradizioni teologiche. Il nucleo di una comprensione interiore della fede ortodossa si trova sempre nel nostro legame con la consensuale teologia – quasi una catena aurea del pensiero e esperienza spirituale comuni – che lega i padri insieme, di modo che essi parlino con una sola bocca e con un solo cuore.
È importante, quindi, leggere i Padri correttamente. In primo luogo, dobbiamo prendere familiarità con i dogmi della nostra confessione di fede, in modo da riconoscere ciò che che i Padri hanno in comune; poiché è in realtà il consenso dei Padri che costituisce l’unicità della testimonianza patristica nell’ortodossia. Quei punti in cui i padri differiscono, come quegli argomenti in cui alcuni Padri inavvertitamente hanno errato, non sono la nostra preoccupazione. Dobbiamo attingere alla loro comunanza di pensiero, espressa nei dogmi e nelle dottrine che la Chiesa ha codificato, dal momento che in quella comunanza si trova il mistico “phronema,” o la mente, dei Padri, una mente che, a sua volta, è una con quella di Cristo. Lo studio accademico moderno (io lo chiamo “Patristica punk”) che si vanta di trovare le differenze tra i padri non solo è inutile, ma addirittura viola lo spirito dello studio dei Padri per come l’ho descritto.
In secondo luogo, bisogna comprendere che i Padri si basano l’uno sull’altro. Hanno consapevolmente attinto l’uno dall’altro, proprio come uno scienziato si basa su prove e dati forniti dai suoi predecessori. Bisogna leggere i Padri, quindi, con lo spirito di uno scienziato, non quella di un artista.
A tal proposito, in un articolo per altri versi interessante su San Gregorio Palamas, un chierico di recente ha osservato che “Gregorio Palamas” ha difeso la fede dei padri “non semplicemente ripetendo a pappagallo le loro antiche formule e parole, ma ‘incarnazionalmente’, ridefinendone e reinterpretandone il messaggio” [vedi Daniel Rogich, “L’Omelia 34 di San Gregorio Palamas”, The Greek Orthodox Theological Review, 33 (2), 135-156].
In effetti, san Gregorio Palamas sottolinea con molta attenzione in un certo numero di suoi scritti che egli sta “imitando” quelli prima di lui, “parlando con le loro parole,” e seguendo le loro orme. Non dobbiamo cedere alla difesa fantasiosa dei Padri, sulla base di un timore che essi possano essere accusati – e questa è spesso l’accusa di polemisti occidentali – di mancanza di creatività. Se guardiamo ai Padri come a degli scienziati, la loro creatività si basa sulla loro capacità di seguire le formule e le parole dei loro predecessori e di raggiungere la mente comune dei Padri. La loro creatività non è nella ridefinizione, fatta “incarnazionalmente” o in altro modo, ma nell’applicazione della verità a se stessi, nell’appropriazione di ciò che i Padri prima di loro custodivano in comune, e nel loro contributo al processo del tramandare immutata la verità – una immutata verità alla quale dobbiamo attingere e che dobbiamo cercare di portare in noi stessi. Dobbiamo sempre tenere questo in mente.
In terzo luogo, dobbiamo leggere i Padri con timore. Essi non sono, come alcuni sciocchi osservatori hanno affermato, “proprio come noi”. I Padri hanno sempre cercato di stare al posto di quanti guarivano i malati, conversavano con gli Angeli, e anche risuscitavano i morti. I santi e le sante che costituiscono la testimonianza patristica sono proprio ciò che noi non siamo, in quanto sono riusciti a unirsi ai santi e alle sante prima di loro che, trasformati in Cristo, sono serviti loro di modello, portandoli dalle tenebre alla luce. I Padri sono ciò che dobbiamo diventare in una simile trasformazione. Non sono “ragazzi della porta accanto”. Essi non devono essere misurati per loro “qualità umane”. Essi sono ora i Santi “al di sopra,” e noi dobbiamo attingere a quelle qualità divine che essi hanno sviluppato ripristinando in sé l’immagine della santità. Se abbiamo qualcosa in comune con i Padri della Chiesa, questo sarà rivelato solo quando anche noi avremo a nostra volta raggiunto la santità, una santità che si misura non dalle nostre capacità mondane, ma da ciò che viene aggiunto per grazia nella nostra ascesa verso la perfezione spirituale.
Ancora, dobbiamo affrontare i Padri, non con le rubriche dello studio accademico – che portano spesso a incomprensioni ed errori – ma con quelle della ricerca “spirituale”. Se lo studioso cerca “informazioni”, il ricercatore spirituale guarda ai Padri per esserne “guidato”. E legata a questa nozione di ricerca spirituale è una preoccupazione per l’autenticità e per la verità che è sconosciuta allo studio di tipo accademico. Uno studioso può trattare un Padre superficialmente, offrire alcuni commenti profondi circa i suoi insegnamenti, e poi passare a un’altra ricerca. Sono in gioco soltanto il suo ego o il suo riconoscimento accademico. Invece, un ricercatore spirituale, dal momento che la sua anima e la vita eterna sono in gioco nel suo studio, leggerà i Padri con estrema cura, spesso impiegando anni interi per chiarire anche un semplice punto.
Mi sia permesso di fare alcune osservazioni su questo argomento, usando ancora San Gregorio Palamas come esempio. Gli scritti di San Gregorio Palamas sono complessi al di là di ogni dire. Sono una sintesi di alcuni dei più profondi insegnamenti dei Padri prima di lui, come San Gregorio stesso dice, e sono redatti in un greco, che non ha eguali nella sua complessità. Anzi, ho incontrato pochi autori che, nonostante i loro numerosi articoli e trattati su questo grande Padre, possano effettivamente passare il mio banco di prova, se solo io consegno loro un volume della raccolta ancora incompleta degli scritti di San Gregorio e chiedo di tradurre un paragrafo a caso, che sia dal greco originale o dal testo greco moderno.
Molti in Occidente, purtroppo, iniziano il loro studio di San Gregorio Palamas con un libro scritto qualche anno fa (originariamente in francese e, per fortuna, un po’ rivisto nelle successive edizioni in inglese) da p. John Meyendorff. Il suo libro è afflitto da errori di traduzione di San Gregorio, da lui tradotto in francese. Essi portano ad alcune fondamentali distorsioni degli insegnamenti di San Gregorio Palamas , come p. Ioannes Romanides ha sottolineato in un brillante commento sul libro di p. Meyendorff [vedere soprattutto. “Note sulla controversia palamita,” The Greek Orthodox Theological Review, 9 (2), p.238], e queste distorsioni sono state ripetute da autori che, in linea con le rubriche accademiche, sono più affascinati da un “nuovo pensatore” che non dal cibo della vita spirituale offerto alle anime di quanti guardano a San Gregorio Palamas come un modello per la crescita spirituale e l’illuminazione. In breve, essi perpetuano gli errori di p. Meyendorff e non riescono a leggere San Gregorio stesso.
Infine, non dobbiamo permettere all’ecumenismo politico di distorcere ciò che i Padri hanno scritto. I Padri ortodossi scrivono quello che fanno con una vera preoccupazione per la verità, ed è per questo che si trovano nei loro scritti parole come “eretico” e “profanatore della Fede”. Non usano queste parole nello spirito d’odio che segna così tanti fuorviati zeloti ortodossi oggi, ma per una preoccupazione profonda e costante per la tutela dei loro lettori – loro figli spirituali – da una dottrina errata. Non c’è nulla di imbarazzante in questo aspetto dei Padri per dei pensatori cristiani maturi, e noi dobbiamo aver cura di ascoltare il messaggio in queste parole più dure dei Padri. Non siamo liberi di fare preferenze.
San Gregorio Palamas inizia uno dei suoi scritti sullo Spirito Santo con dei commenti sui latini che scioccherebbero un ecumenista. Egli respinge i latini come eretici e nega tutte le formule politiche con cui, nella nostra era ipocrita, ciò che non è ortodosso è improvvisamente fatto tale. Se p. John Meyendorff, ancora una volta, avesse prestato attenzione a questo punto, il suo libro su questo grande Padre sarebbe stato più fedele agli insegnamenti di San Gregorio.
Barlaam può ben esser stato, come san Gregorio Palamas credeva e dichiarava, un latino venuto in Oriente per fomentare il compromesso e il dissenso, in modo da condurre a una unione politica tra gli ortodossi e Roma [cf. Romanides, supra, 6 (2), p. 193]. E san Gregorio Palamas può bene essere stato un campione dello stesso tipo di resistenza che noi vecchi calendaristi stiamo conducendo oggi contro le macchinazioni di Roma per attirare i politicanti ecclesiastici ortodossi in un’unione basata sul relativismo ecclesiologico e un tradimento della rivendicazione di un primato della Chiesa ortodossa. Forse questo è il motivo per cui gli uniati (greco cattolici) ancora celebrano la seconda Domenica di Quaresima, dedicata nella Chiesa Ortodossa a San Gregorio Palamas, come la Domenica delle Sante Reliquie. E forse l’insensibilità del padre Meyendorff al lato meno edificante dell’ecumenismo nascondeva ai suoi occhi la saggezza degli avvertimenti di San Gregorio contro l’intrigo latino come appare ai nostri stessi giorni!
Se vogliamo imparare dai Padri, dobbiamo volgerci dal vuoto dell’egoismo accademico, dal dubbio malizioso sulle cose sacre, dai tomi superficiali elogiati dal mondo, ma infedeli agli insegnamenti di coloro intorno ai quali sono scritti.

Da Orthodox Tradition, Vol. VI, N. 3.
(Trad. p. Daniele Marletta tratto da LUCE VITA n 10)


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