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Gesù e la samaritana

di Sant’Agostino di Ippona

Incominciano i misteri. Non per nulla si stanca Gesù, non per nulla si stanca la forza di Dio. Ci troviamo di fronte a un Gesù forte e di fronte a un Gesù debole. La forza di Cristo ci ha creati, la sua debolezza ci ha ricreati. Ci ha creati con la sua forza, è venuto a cercarci con la sua debolezza.


1. Non suona nuovo alle orecchie della vostra Carità il fatto che l’evangelista Giovanni com’aquila voli più alto di tutti, elevandosi al di sopra della caligine della terra, fino a fissare fermamente gli occhi nella luce della verità. Con l’aiuto del Signore e per mezzo del nostro ministero, molte pagine del suo Vangelo vi sono già state commentate; seguendo l’ordine viene questo passo, che oggi è stato letto. Ciò che con l’aiuto del Signore sto per dire, servirà a ricordare a molti di voi ciò che già sapete, piuttosto che a insegnarvi altre cose. Ma non per questo deve essere minore la vostra attenzione, pur se si tratta di richiamare alla mente cose già note.È stato letto – e abbiamo in mano il testo che dobbiamo spiegare – che il Signore Gesù parlava con una donna samaritana presso il pozzo di Giacobbe. In quella occasione egli espose grandi misteri e preannunziò cose sublimi. L’anima che ha fame trova qui di che pascersi, l’anima affaticata trova di che ristorarsi.
2. Quando il Signore seppe che i Farisei avevano sentito dire che Gesù faceva più discepoli e ne battezzava più di Giovanni, – sebbene non battezzasse Gesù in persona ma i suoi discepoli – lasciò la Giudea e ritornò in Galilea (Gv 4, 1-3). Qui non ci sono difficoltà, e non dobbiamo soffermarci in ciò che è chiaro, affinché non ci manchi il tempo per affrontare e chiarire ciò che è oscuro. Se il Signore avesse saputo che i Farisei si interessavano del fatto che egli faceva più discepoli e ne battezzava più di Giovanni, con l’intenzione di valersene per seguirlo e diventare anche loro suoi discepoli e farsi battezzare da lui, certamente non avrebbe lasciato la Giudea, ma vi sarebbe rimasto per loro. Avendo conosciuto, invece, le loro cattive intenzioni, in quanto essi non si erano informati per seguirlo ma per perseguitarlo, per questo egli lasciò la Giudea. Avrebbe potuto certamente restarvi, senza farsi prendere da quelli, se lo avesse voluto; se lo avesse voluto non sarebbe stato ucciso: avrebbe potuto anche non nascere, se così avesse voluto. Ma, siccome in ogni cosa che egli faceva come uomo, voleva offrire un esempio agli uomini che avrebbero creduto in lui, quel Maestro buono lasciò la Giudea non per timore, ma per darci un insegnamento. Così, un servo di Dio non pecca, se si rifugia in altro luogo di fronte al furore dei suoi persecutori o di quelli che cercano di fargli del male; ma se il Signore non avesse mostrato con il suo esempio che questo modo di agire è legittimo, quel servo di Dio avrebbe potuto credere che comportandosi così faceva male.

3. Può forse fare difficoltà il fatto che l’evangelista dica: Gesù battezzava più gente di Giovanni, e, dopo aver affermato che Gesù battezzava, subito dopo aggiunge: benché non battezzasse Gesù in persona ma i suoi discepoli. Che significa? Forse che Giovanni prima si era sbagliato, e poi si è corretto aggiungendo: benché non battezzasse Gesù in persona ma i suoi discepoli? O piuttosto non sono vere ambedue le cose, che Gesù battezzava e non battezzava? Battezzava, infatti, perché era lui che purificava dai peccati, e non battezzava, perché non era lui che immergeva nell’acqua. I discepoli esercitavano il ministero corporale, egli interveniva con la potenza della sua maestà. Poteva forse smettere di battezzare lui che non smette mai di purificare? lui del quale il medesimo evangelista per bocca di Giovanni Battista ha detto: È lui quello che battezza (Gv 1, 33)?È Gesù, dunque, che tuttora battezza, e battezzerà finché ci sarà uno da battezzare. Si accosti sicuro l’uomo al ministro inferiore, poiché ha un maestro superiore.
4. Qualcuno potrà osservare: Cristo battezza sì spiritualmente, ma non fisicamente. Come se qualcuno potesse ricevere il sacramento del battesimo, sia pure nella sua realtà fisica e visibile, come dono di un altro che non sia il Cristo. Vuoi convincerti che è lui che battezza, non solo mediante lo Spirito ma anche mediante l’acqua? Ascolta l’Apostolo: Cristo ha amato la Chiesa e si è offerto per essa onde santificarla, purificandola con il lavacro dell’acqua mediante la parola, e così farsi comparire davanti, tutta splendente, la Chiesa, senza macchia o ruga o alcunché di simile (Ef 5, 25-27). In che modo Cristo purifica la sua Chiesa? Con il lavacro dell’acqua mediante la parola. Che cos’è il battesimo di Cristo? Lavacro di acqua accompagnato dalla parola. Togli l’acqua, non c’è battesimo; togli la parola, non c’è battesimo.
5. Dopo questa introduzione al colloquio con la samaritana, vediamo il resto, così denso di significati e gravido di misteri. Ora, era necessario – dice l’evangelista – che egli passasse attraverso la Samaria. Giunge, dunque, in una città della Samaria chiamata Sichar, vicino al podere che Giacobbe diede a suo figlio Giuseppe. Lì c’era il pozzo di Giacobbe (Gv 4, 4-6). C’era un pozzo. Ora, un pozzo è anche una sorgente, ma non ogni sorgente è un pozzo. Dove c’è dell’acqua che scaturisce dalla terra, ad uso di chi l’attinge, diciamo che lì c’è una sorgente; se essa è a portata di mano e alla superficie del suolo, la chiamiamo semplicemente sorgente; se invece si trova in profondità, sotto la superficie del suolo, allora si chiama pozzo, pur restando sempre una sorgente.
6. Gesù, dunque, stanco per il viaggio, stava così a sedere sul pozzo. Era circa l’ora sesta (Gv 4, 6). Cominciano i misteri. Non per nulla, infatti, Gesù si stanca; non per nulla si stanca la forza di Dio; non per nulla si stanca colui che, quando siamo affaticati, ci ristora, quando è lontano ci abbattiamo, quando è vicino ci sentiamo sostenuti. Comunque Gesù è stanco, stanco del viaggio, e si mette a sedere; si mette a sedere sul pozzo, ed è l’ora sesta quando, stanco, si mette a sedere. Tutto ciò vuol suggerirci qualcosa, vuol rivelarci qualcosa; richiama la nostra attenzione, c’invita a bussare. Ci apra, a noi e a voi, quello stesso che si è degnato esortarci dicendo: Bussate e vi sarà aperto (Mt 7, 7).È per te che Gesù si è stancato nel viaggio. Vediamo Gesù pieno di forza, e lo vediamo debole; è forte e debole: forte perché in principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio; questo era in principio presso Dio. Vuoi vedere com’è forte il Figlio di Dio? Tutto fu fatto per mezzo di lui, e niente fu fatto senza di lui; e tutto senza fatica. Chi, dunque, è più forte di lui che ha fatto tutte le cose senza fatica? Vuoi vedere ora la sua debolezza? Il Verbo si è fatto carne e abitò fra noi (Gv 1, 1 3 14). La forza di Cristo ti ha creato, la debolezza di Cristo ti ha ricreato. La forza di Cristo ha chiamato all’esistenza ciò che non era, la debolezza di Cristo ha impedito che si perdesse ciò che esisteva. Con la sua forza ci ha creati, con la sua debolezza è venuto a cercarci.

7.È con la sua debolezza che egli nutre i deboli, come la gallina nutre i suoi pulcini: egli stesso del resto si è paragonato alla gallina: Quante volte – dice a Gerusalemme – ho voluto raccogliere i tuoi figli sotto le ali, come la gallina i suoi pulcini, e tu non l’hai voluto! (Mt 23, 37). Non vedete, o fratelli, come la gallina partecipa alla debolezza dei suoi pulcini? Nessun altro uccello esprime così evidentemente la sua maternità. Abbiamo tutti i giorni davanti agli occhi passeri che fanno il nido; vediamo rondini, cicogne, colombe fare il nido; ma soltanto quando sono nel nido, ci accorgiamo che sono madri. La gallina, invece, si fa talmente debole con i suoi piccoli, che, anche quando i pulcini non le vanno dietro, anche se non vedi i figli, ti accorgi che è madre. Le ali abbassate, le piume ispide, la voce roca, in tutto così dimessa e trascurata, è tale che, anche quando – come ho detto – non vedi i pulcini, t’accorgi tuttavia che è madre. Così era Gesù, debole e stanco per il cammino. Il suo cammino è la carne che per noi ha assunto. Perché, come potrebbe muoversi colui che è dovunque e che da nessuna parte è assente? Se va, se viene, se viene a noi, è perché ha assunto la forma della carne visibile. Poiché dunque si è degnato di venire a noi apparendo in forma di servo per la carne assunta, questa stessa carne assunta è il suo cammino. Perciò stanco per il cammino, che altro significa se non affaticato nella carne? Gesù è debole nella carne, ma tu non devi essere debole; dalla debolezza di lui devi attingere la forza, perché la debolezza di Dio è più forte degli uomini (1 Cor 1, 25).

8. Mediante questa immagine, Adamo, che era figura di colui che doveva venire (cf. Rm 5, 14), ci offrì il segno di un grande mistero; anzi fu Dio stesso ad offrircelo nella persona di Adamo. Infatti, mentre dormiva, meritò di ricevere la sposa che Dio aveva formato dal suo fianco (cf. Gn 2, 21); perché da Cristo, addormentato sulla croce, sarebbe nata la Chiesa, allorché dal costato di lui che pendeva dalla croce, colpito dalla lancia, fluirono i sacramenti della Chiesa (Gv 19, 34). Perché ho voluto richiamare il fatto di Adamo, o fratelli? Per dirvi che la debolezza di Cristo ci rende forti. Quel fatto era una grande profezia di Cristo. Dio avrebbe potuto togliere all’uomo un pezzo di carne per formare la donna, e forse ci sarebbe parso più conveniente: con la donna, infatti, veniva creato il sesso più debole, e ciò che è debole si sarebbe potuto formare meglio con la carne che con l’osso, che della carne è più forte. Invece Dio non prese della carne per formare la donna: tolse un osso, con esso formò la donna, e riempì il posto dell’osso con carne. Avrebbe potuto rimpiazzare l’osso con un altro osso, avrebbe potuto, per formare la donna, prendere non una costola, ma carne di Adamo. Che cosa ci volle significare? La donna fu formata nell’osso come un essere forte; Adamo fu formato nella carne come un essere debole. Qui c’è il mistero di Cristo e della Chiesa: la debolezza di Cristo è la nostra forza.
9. Ma perché nell’ora sesta? Perché era la sesta età del mondo. Il Vangelo calcola come prima ora la prima età del mondo, che va da Adamo fino a Noè; la seconda, da Noè fino ad Abramo; la terza, da Abramo fino a Davide; la quarta, da Davide fino all’esilio babilonese; la quinta, dall’esilio babilonese fino al battesimo di Giovanni, con cui comincia la sesta età. Perché ti meravigli? Gesù venne in terra e, umiliandosi, giunse fino al pozzo. Arrivò stanco, perché portava il peso della carne debole. Era l’ora sesta, perché era la sesta età del mondo. E giunse al pozzo, perché egli è disceso fino al fondo di questa nostra dimora. Per questo è detto nel salmo: Dal profondo ho gridato a te, o Signore (Sal 129, 1). Si è seduto, perché, come ho detto, si è umiliato.

10. Arriva una donna.È figura della Chiesa, non ancora giustificata, ma già in via di essere giustificata: questo il tema della conversazione. Arriva senza sapere nulla e trova Gesù, il quale attacca discorso con lei. Vediamo su che cosa e con quale intenzione. Arriva una donna samaritana ad attingere acqua (Gv 4, 7). I Samaritani non appartenevano al popolo giudeo: erano stranieri, benché abitassero una terra vicina. Sarebbe lungo raccontare l’origine dei Samaritani; per non diffonderci troppo, magari trascurando il necessario, vi basti sapere che i Samaritani erano stranieri. Non vi sembrerà arbitraria questa mia affermazione, se tenete conto di quanto lo stesso Signore Gesù dice a proposito di quel samaritano, uno dei dieci lebbrosi che egli aveva mondati, e che fu il solo a tornare indietro per ringraziarlo: Non sono stati mondati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato uno che tornasse per dare gloria a Dio al di fuori di questo straniero? (Lc 17, 17-18).È significativo il fatto che questa donna, che rappresentava la Chiesa, provenisse da un popolo straniero per i Giudei: la Chiesa infatti sarebbe sorta dai Gentili, che per i Giudei erano stranieri. Ascoltiamo, allora, noi stessi in lei, in lei riconosciamoci e in lei rendiamo grazie a Dio, per noi. Ella infatti era una figura, non la verità: prefigurava la verità che lei stessa diventò; poiché credette in colui che voleva farne la figura di noi. Dunque, viene ad attingere acqua. Era venuta soltanto per attingere acqua, come son soliti fare gli uomini e le donne.
11. Gesù le dice: Dammi da bere. I suoi discepoli erano andati in città per acquistare provviste. La donna samaritana, dunque, gli dice: Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me che sono una donna samaritana? I Giudei, infatti, non sono in buoni rapporti con i Samaritani (Gv 4, 7-9). Ecco la prova che i Samaritani erano stranieri. I Giudei non si servivano assolutamente dei loro recipienti; e la donna, che portava con sé un recipiente per attingere l’acqua, si stupì che un giudeo le chiedesse da bere, cosa che i Giudei non erano soliti fare. Ma, in realtà, colui che chiedeva da bere, aveva sete della fede di quella donna.

12. Ascolta, adesso, chi è colui che chiede da bere. Gesù rispose: Se conoscessi il dono di Dio e chi è che ti dice “dammi da bere”, l’avresti pregato tu, ed egli ti avrebbe dato un’acqua viva (Gv 4, 10). Chiede da bere, e promette da bere.È bisognoso come uno che aspetta di ricevere, ed è nell’abbondanza come uno che è in grado di saziare. Se conoscessi – dice – il dono di Dio. Il dono di Dio è lo Spirito Santo. Ma il Signore parla alla donna in maniera ancora velata, solo a poco a poco penetra nel cuore di lei. Intanto la istruisce. Che c’è di più soave e di più amabile di questa esortazione: Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice “dammi da bere”, l’avresti pregato tu, ed egli ti avrebbe dato un’acqua viva? Finora la tiene sulla corda. Infatti, comunemente si chiama acqua viva quella che zampilla dalla sorgente. L’acqua piovana, che si raccoglie nei fossi o nelle cisterne, non vien chiamata acqua viva. Potrebbe anche essere acqua di sorgente, ma se è stata raccolta in qualche luogo e non è più in comunicazione con la sorgente, essendone tagliata fuori, non si può più chiamare acqua viva. Acqua viva si chiama solo quella che si attinge alla sorgente. Ora, tale era l’acqua che si trovava in quel pozzo. Come poteva allora Cristo promettere ciò che chiedeva?
13. Tuttavia, interdetta, la donna esclamò: Signore, tu non hai nulla per attingere, e il pozzo è profondo (Gv 4, 11). Come vedete, acqua viva per lei è l’acqua del pozzo. Tu mi vuoi dare acqua viva, ma io possiedo la brocca con cui attingere, mentre tu no. Qui c’è l’acqua viva, ma tu come fai a darmela? Pur intendendo un’altra cosa e ragionando secondo la carne, tuttavia bussava alla porta, in attesa che il Maestro aprisse ciò ch’era chiuso. Bussava più per curiosità che per amore della verità. Era ancora da compiangere, non ancora in condizione d’essere illuminata.
14. Il Signore parla più chiaramente dell’acqua viva. La donna gli aveva detto: Saresti tu più grande del padre nostro Giacobbe, che ci ha dato il pozzo e ha bevuto da esso, lui e i suoi figli e le sue greggi? Tu non puoi darmi di quest’acqua viva perché non hai un recipiente per attingere; forse vuoi promettermi l’acqua di un’altra sorgente? Saresti da più del nostro padre, che ha scavato questo pozzo e se n’è servito insieme ai suoi? Ci spieghi, dunque, il Signore che cosa intende per acqua viva. Rispose Gesù: Chiunque beve di quest’acqua avrà sete ancora; ma chi beve l’acqua che io gli darò non avrà sete in eterno: l’acqua che io gli darò diverrà in lui sorgente d’acqua zampillante per la vita eterna (Gv 4, 12-14). Il Signore ha parlato in modo più chiaro: Diverrà in lui sorgente d’acqua zampillante per la vita eterna. Chi beve di quest’acqua non avrà sete in eterno. Nulla è più evidente che egli non prometteva un’acqua visibile, ma un’acqua misteriosa. Nulla è più evidente che il suo linguaggio non era materiale ma spirituale.
15. Tuttavia la samaritana continua ad intendere il linguaggio di Gesù in senso materiale.È allettata dalla prospettiva di non dover più patir la sete, e crede di poter intendere in questo senso materiale la promessa del Signore. Certamente il Signore estinguerà la nostra sete, ma lo farà quando i morti risorgeranno. La samaritana, invece, voleva che si realizzasse fin d’ora quello che un tempo il Signore aveva concesso al suo servo Elia, il quale per quaranta giorni non patì né fame né sete (cf. 1 Re 19, 8). Colui che aveva concesso questo per quaranta giorni, perché non poteva concederlo per sempre? A questo aspirava la samaritana: a non aver più alcun bisogno, a non dover più faticare. Ogni giorno doveva recarsi a quella sorgente, venir via carica, e di nuovo ritornare alla sorgente non appena l’acqua attinta era esaurita; e tutti i giorni la stessa fatica, perché quel bisogno, momentaneamente soddisfatto, non si estingueva. Aspirando solo a non dover più patire la sete, prega Gesù che le dia quest’acqua viva (cf. Gv 4, 15).
16. Ma non dimentichiamo che il Signore prometteva un dono spirituale. Che vuol dire: Chi beve di quest’acqua avrà sete ancora? Questo vale per l’acqua naturale, e vale pure per ciò che essa significa. L’acqua del pozzo è simbolo dei piaceri mondani nella loro profondità tenebrosa; è da lì che gli uomini li attingono con l’anfora della cupidigia. Quasi ricurvi, affondano la loro cupidigia per poterne attingere il piacere fino in fondo; e gustano questo piacere che hanno fatto precedere dalla cupidigia. Chi infatti non manda avanti la cupidigia, non può giungere al piacere. Fa’ conto, dunque, che la cupidigia sia l’anfora e il piacere sia l’acqua profonda. Ebbene, quando uno giunge ai piaceri di questo mondo: il mangiare, il bere, il bagno, gli spettacoli, gli amplessi carnali; credi che non avrà di nuovo sete? Ecco perché il Signore dice: Chi beve di quest’acqua, avrà sete ancora; chi invece beve dell’acqua che gli darò io, non avrà sete in eterno. Saremo saziati – dice il salmo – con i beni della tua casa (Sal 64, 5). Allora, qual è l’acqua che ci darà lui se non quella di cui è stato detto: Presso di te è la sorgente della vita? E come potranno aver sete coloro che saranno inebriati dall’abbondanza della tua casa (Sal 35, 10 9)?
17. Il Signore prometteva abbondanza e pienezza di Spirito Santo, e quella ancora non capiva; e siccome non capiva, che cosa rispondeva? Gli dice la donna: Signore, dammi codesta acqua affinché non abbia più sete e non venga fin qui ad attingere (Gv 4, 15). Il bisogno la costringeva alla fatica, che la sua debolezza mal sopportava. Oh, se avesse sentito l’invito: Venite a me, quanti siete affaticati ed oppressi, ed io vi ristorerò (Mt 11, 28)! Infatti Gesù le diceva queste cose, perché non si affaticasse più. Ma lei ancora non capiva.
18. Volendo che finalmente capisse, Gesù le dice: Va’, chiama tuo marito e torna qui (Gv 4, 16). Che vuol dire: chiama tuo marito? Voleva darle quell’acqua per mezzo di suo marito? Oppure, siccome non riusciva a capire, voleva ammaestrarla per mezzo di suo marito, secondo quanto l’Apostolo raccomanda alle donne: Se vogliono imparare qualche cosa, interroghino a casa i loro mariti (1 Cor 14, 35)? Ma l’Apostolo dice: Interroghino i loro mariti a casa, dove non c’è Gesù che insegna; e poi si trattava delle donne, alle quali l’Apostolo vietava che parlassero nelle adunanze. Ma qui era presente Gesù in persona, e parlava ad una donna che era presente: che bisogno c’era di parlarle per mezzo di suo marito? Forse aveva parlato attraverso un uomo a Maria, quando ella stava seduta ai suoi piedi e accoglieva la sua parola, mentre Marta era tutta indaffarata e mormorava per la felicità di sua sorella (cf. Lc 10, 39-40)? Quindi, fratelli miei, ascoltiamo e cerchiamo di capire che cosa intendeva il Signore quando disse alla donna: Chiama tuo marito. Forse anche all’anima nostra dice: Chiama tuo marito. Chi può essere il marito dell’anima? Perché non dire subito che Gesù stesso è il vero marito dell’anima? Facciamo attenzione, perché quanto stiamo per dire difficilmente può essere capito da chi non è attento; facciamo dunque attenzione per capire: il marito dell’anima potrebbe essere l’intelletto.
19. Gesù vedendo dunque che quella donna non capiva, e volendo che capisse, chiama – le dice – tuo marito. Ecco perché tu non capisci ciò che dico, perché il tuo intelletto non è presente; io parlo secondo lo spirito, e tu ascolti secondo la carne. Ciò che dico non ha relazione alcuna né con il godimento delle orecchie, né con quello degli occhi, né dell’olfatto, né del gusto, né del tatto; solo lo spirito può cogliere ciò che dico, solo l’intelletto; ma se il tuo intelletto non è qui presente, come puoi intendere ciò che dico? Chiama tuo marito, rendi presente il tuo intelletto. A che ti serve avere l’anima? Non è gran cosa, ce l’hanno anche le bestie. Perché tu sei superiore ad esse? Perché hai l’intelletto che le bestie non hanno. Che vuol dire dunque: Chiama tuo marito? Tu non mi capisci, non mi intendi; io, ti parlo del dono di Dio e tu pensi a cose materiali; non vuoi più soffrire la sete materiale, mentre io mi riferisco allo spirito; il tuo intelletto è assente, chiama tuo marito. Non voler essere come il cavallo ed il mulo, che non hanno intelletto (Sal 31, 9). Dunque, fratelli miei, avere l’anima e non avere l’intelletto, cioè non usarlo e non vivere conforme ad esso, è un vivere da bestie. C’è infatti in noi qualcosa che abbiamo in comune con le bestie, per cui viviamo nella carne, ma l’intelletto deve governarlo. L’intelletto regge dall’alto i movimenti dell’anima che si muove secondo la carne, e desidera effondersi senza misura nei piaceri della carne. Chi merita il nome di marito? Chi regge, o chi è retto? Senza dubbio, quando la vita è ben ordinata, chi regge l’anima è l’intelletto, che fa parte dell’anima stessa. L’intelletto non è infatti qualcosa di diverso dall’anima; così come l’occhio non è una cosa diversa dalla carne, essendo un organo della carne. Ma pur essendo l’occhio parte della carne, esso solo gode della luce; le altre membra del corpo possono essere inondate di luce, ma non possono percepirla; soltanto l’occhio può essere inondato di luce e goderne. Così, ciò che chiamiamo intelletto è una facoltà della nostra anima. Questa facoltà dell’anima che si chiama intelletto o mente, viene illuminata da una luce superiore. Questa luce superiore, da cui la mente umana viene illuminata, è Dio. Era la luce vera, che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (Gv 1, 9). Questa luce era Cristo, questa luce parlava con la samaritana; ma essa non era presente con l’intelletto, perché potesse essere illuminata da quella luce: e non solo per essere inondata da essa, ma per poterne godere. Insomma, è come se il Signore volesse dirle: colui che io voglio illuminare, non è qui; chiama tuo marito; usa l’intelletto mediante il quale potrai essere illuminata, e dal quale potrai essere guidata. Dunque, fate conto che l’anima, senza l’intelletto, sia la donna, e che l’intelletto sia come il marito. Ma questo marito non potrà guidare bene la sua donna, se non è a sua volta governato da chi è superiore a lui. Il capo della donna infatti è l’uomo, il capo dell’uomo è Cristo (cf. 1 Cor, 11, 3). Il capo dell’uomo parlava con la donna, ma l’uomo non era presente.È come se il Signore volesse dire: Fa’ venire il tuo capo, affinché esso accolga il suo capo; quindi, chiama tuo marito e torna qui; cioè, prestami attenzione, sii presente; perché, non intendendo la voce della verità qui presente, è come se tu fossi assente. Sii presente, ma non da sola; vieni qua insieme a tuo marito.
20. La donna che ancora non aveva chiamato quel marito, non comprende ancora, ed essendo assente il marito ragiona ancora secondo la carne. Dice: Non ho marito. E il Signore prosegue nel suo linguaggio denso di mistero. Bisogna tener presente che davvero in quel momento la samaritana non aveva marito, ma conviveva con un marito illegittimo, che quindi più che un marito era un adultero. Le dice Gesù: Hai ben detto “non ho marito”. Ma allora perché, o Signore, hai detto: Chiama tuo marito? Il Signore sapeva che la donna non aveva marito; e affinché ella non credesse che il Signore le aveva detto: Hai ben detto “non ho marito”, perché l’aveva appreso da lei e non perché questo lo sapesse in quanto era Dio, aggiunge una cosa che la donna non aveva detto: Hai avuto, infatti, cinque mariti e quello che hai adesso non è tuo marito; in questo hai detto la verità (Gv 4, 17-18).
21. Ed ecco che anche a proposito dei cinque mariti, ci costringe ad approfondire il significato di questo fatto. Non è assurda né improbabile l’interpretazione di molti, che hanno creduto di scorgere nei cinque mariti di questa donna i cinque libri di Mosè, utilizzati anche dai Samaritani, i quali vivevano sotto la medesima Legge e praticavano anche la circoncisione. Ma ciò che segue e cioè: quello che hai adesso non è tuo marito, c’induce a scorgere nei primi cinque mariti dell’anima i cinque sensi del corpo. Infatti, quando uno nasce, prima di giungere all’uso dello spirito e della ragione, è guidato unicamente dai cinque sensi del corpo. L’anima del bambino ricerca o fugge soltanto ciò che ascolta, ciò che si vede, ciò che odora, che gusta, che tocca. Ricerca tutto ciò che alletta questi cinque sensi, rifugge da tutto ciò che li offende. Il piacere attrae questi cinque sensi, e il dolore li ferisce. L’anima vive dapprima secondo questi cinque sensi come fossero mariti, perché da essi è guidata. E perché vengono chiamati mariti? Perché sono legittimi. Sono stati creati da Dio, e da Dio donati all’anima. L’anima che è guidata da questi cinque sensi e agisce sotto la tutela di questi cinque mariti, è ancora debole; ma quando sarà giunta all’età della discrezione, se accetta il metodo più maturo e l’insegnamento della sapienza, a quei cinque mariti vedrà succedere il marito vero e legittimo, che è migliore dei precedenti, e che la guiderà meglio: egli la guiderà all’eternità, la educherà e l’addestrerà per l’eternità. I cinque sensi, invece, non ci indirizzano all’eternità, ma solo a ricercare o a fuggire le cose temporali. Quando, poi, l’intelletto iniziato alla sapienza, comincerà a guidare l’anima, allora essa saprà non soltanto scansare la fossa e camminare su strada sicura che gli occhi possono mostrare all’anima debole; non soltanto saprà godere voci armoniose rifiutando quelle stonate; o dilettarsi di odori gradevoli rifiutando quelli sgradevoli; o ancora lasciarsi prendere da ciò che è dolce, offesa da ciò che è amaro; o lasciarsi accarezzare da ciò che è morbido difendendosi da ciò che è ruvido. L’anima malferma ha ancora bisogno di tutto questo. Quale sarà, invece, la funzione dell’intelletto? Non insegnerà a discernere il bianco dal nero, ma il giusto dall’ingiusto, il bene dal male, l’utile dall’inutile, la castità dall’impudicizia, perché ami quella ed eviti questa; la carità dall’odio, perché coltivi quella e rifugga da questo.
22. Questo marito non aveva preso, nella samaritana, il posto di quei cinque mariti. E dove esso non prende il loro posto, domina l’errore. Infatti, quando l’anima acquista la capacità di ragionare, una delle due: o è guidata da una mente sapiente o è guidata dall’errore. L’errore, però, non guida ma conduce alla rovina. Così quella donna andava ancora errando dietro i cinque sensi, e l’errore l’agitava violentemente. Quell’errore, però, non era il marito legittimo, ma un adultero; perciò il Signore le dice: Hai ben detto “non ho marito”; hai avuto, infatti, cinque mariti. Dapprima sei stata guidata dai sensi della carne; poi sei giunta all’età in cui si deve usare la ragione, e non hai raggiunto la sapienza, anzi sei caduta nell’errore; perciò, dopo quei cinque mariti, quello che adesso hai non è tuo marito. E se non era un marito, cosa era se non un adultero? Dunque, chiama, ma non l’adultero, chiama tuo marito, affinché con l’intelletto tu possa comprendermi, e l’errore non debba procurarti una falsa opinione di me. Infatti quella donna viveva ancora nell’errore, aspirando all’acqua terrena, dopo che già il Signore le aveva parlato dello Spirito Santo. E perché viveva ancora nell’errore, se non perché era unita ad un adultero invece che al vero marito? Via, dunque, l’adultero che ti corrompe, e va’ a chiamare tuo marito. Chiamalo, e torna qui con lui, e mi comprenderai.
23. Gli dice la donna: Signore, vedo che sei un profeta (Gv 4, 19). Comincia ad arrivare il marito, ma non è ancora arrivato del tutto. Considerava il Signore un profeta; ed in effetti, egli era profeta; parlando di se stesso aveva detto: Un profeta è disprezzato soltanto nella sua patria (Mt 13, 57). E a proposito di lui era stato detto a Mosè: Io susciterò loro un profeta, di mezzo ai loro fratelli, simile a te (Dt 18, 18). S’intende simile quanto alla natura umana, non quanto alla potenza della maestà. Vediamo dunque che il Signore Gesù è stato chiamato profeta. Perciò quella donna non è più tanto lontana dal vero: Vedo – ella dice – che sei un profeta. Ha cominciato a chiamare il marito e a mandar via l’adultero: Vedo che sei un profeta. E comincia a parlare di ciò che per lei costituiva un grosso problema. Era in corso una discussione vivace tra i Samaritani e i Giudei, per il fatto che i Giudei adoravano Dio nel tempio costruito da Salomone, mentre i Samaritani, esclusi, non adoravano Dio in quel tempio. Perciò i Giudei si ritenevano migliori per il fatto che adoravano Dio nel tempio. I Giudei, infatti, non sono in buoni rapporti con i Samaritani, i quali a loro volta dicevano: Come potete vantarvi e ritenervi migliori di noi, solo per il fatto che voi avete un tempio e noi no? Forse che i nostri padri, che piacquero a Dio, lo hanno adorato in quel tempio? non lo hanno forse adorato su questo monte dove noi abitiamo? Dunque siamo più nel giusto noi, che preghiamo Dio su questo monte dove lo hanno pregato i nostri padri. Gli uni e gli altri contendevano tra loro, privi, gli uni e gli altri, della conoscenza di Dio perché non avevano marito: e si gonfiavano gli uni nei confronti degli altri, i Giudei per il tempio, i Samaritani per il monte.
24. Ma il Signore che cosa insegna alla donna, adesso che il marito di questa comincia ad essere presente? Gli dice la donna: Signore, vedo che sei un profeta. I nostri padri hanno adorato su questo monte e voi dite che il luogo dove si deve adorare è a Gerusalemme. Le dice Gesù: Credi a me, o donna … (Gv 4, 19-21). La Chiesa verrà, come è stato detto nel Cantico dei Cantici, verrà, e proseguirà il suo cammino, prendendo le mosse dalla fede (Ct 4, 8 sec. LXX). Verrà, per andare oltre, e non potrà andare oltre, se non cominciando dalla fede. E la donna, presente ormai il marito, merita di sentirsi dire: Donna, credi a me.È presente ormai in te colui che è in grado di credere, perché è presente tuo marito. Hai cominciato ad essere presente con l’intelletto, quando mi hai chiamato profeta. Donna, credi a me, perché se non crederete, non potrete capire (Is 7, 9 sec. LXX). Dunque, … donna, credi a me, è giunto il tempo in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate quel che non conoscete, noialtri adoriamo quel che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene il tempo … Quando verrà? ed è adesso. Quale tempo? quello in cui i genuini adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; lo adoreranno, non su questo monte, non nel tempio, ma in spirito e verità. Il Padre, infatti, tali vuole i suoi adoratori. Perché il Padre cerca chi lo adori, non sul monte, non nel tempio, ma in spirito e verità? Perché Dio è spirito. Se Dio fosse corpo, sarebbe stato necessario adorarlo sul monte, perché il monte è corporeo; sarebbe stato necessario adorarlo nel tempio, perché il tempio è materiale. Invece, Dio è spirito, e i suoi adoratori devono adorarlo in spirito e verità (Gv 4, 21-24).

25.È chiaro ciò che abbiamo sentito. Eravamo usciti fuori, e siamo stati riportati dentro. Oh se potessi trovare, dicevi, un monte alto e solitario! credo, infatti, che Dio sta in alto, e potrà più facilmente ascoltarmi se lo pregherò su un monte. E tu pensi davvero di essere più vicino a Dio perché stai su un monte, e che più presto ti potrà esaudire, quasi tu lo invocassi da vicino? Certo, Dio abita in alto; ma guarda le umili creature (Sal 137, 6). Il Signore è vicino; ma a chi? forse a quelli che stanno in alto? No: Il Signore è vicino a quelli che hanno il cuore contrito (Sal 33, 19). Cosa mirabile! Egli abita in alto, e si avvicina agli umili: riguarda all’umile, e da lontano conosce il superbo. Vede i superbi da lontano, e tanto meno si avvicina a loro quanto più essi si ritengono alti. E tu cercavi un monte? Discendi, se vuoi raggiungere Dio. Ma se vuoi ascendere, ascendi; solo non cercare un monte. C’è un salmo che parla di ascensioni nel cuore, nella valle del pianto (Sal 83, 6-7). La valle è in basso. Cerca di raccoglierti dentro di te. E se vuoi trovare un luogo alto, un luogo santo, offriti a Dio come tempio nel tuo intimo. Santo, infatti, è il tempio di Dio, che siete voi (1 Cor 3, 17). Vuoi pregare nel tempio? prega dentro di te; ma cerca prima di essere tempio di Dio, affinché egli possa esaudire chi prega nel suo tempio.
26. Viene l’ora, ed è adesso, in cui i genuini adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità. Noialtri adoriamo quel che conosciamo, voi adorate quel che non conoscete; perché la salvezza viene dai Giudei. I Giudei sono certamente dei privilegiati; ma questo non significa che i Samaritani siano dei reprobi. Considera quelli come il muro al quale ne è stato aggiunto un altro, affinché, pacificati nella pietra angolare che è Cristo, fossero uniti insieme. Il primo, sono i Giudei; l’altro, i Gentili. Erano lontani l’uno dall’altro, questi muri, fino a quando non furono riuniti nella pietra angolare. Gli stranieri, certo, erano ospiti, ed erano estranei all’alleanza di Dio (cf. Ef 2, 12-22).È in questo senso che Gesù dice: Noialtri adoriamo quel che conosciamo. Lo dice riferendosi ai Giudei come popolo; non lo dice riferendosi a tutti i Giudei, ai Giudei reprobi; lo dice riferendosi al popolo dei Giudei di cui facevano parte gli Apostoli, i Profeti, e tutti quei santi che vendettero i loro beni e ne deposero il ricavato ai piedi degli Apostoli (cf. At 4, 34-35). Iddio, infatti, non ha rigettato il suo popolo, da lui stesso eletto in anticipo (cf. Rm 11, 2).
27. Al sentir questo, la donna interviene. Già aveva riconosciuto il Signore come profeta; ma le dichiarazioni del suo interlocutore sono più che di un profeta. E notate cosa risponde. Gli dice la donna: So che il Messia, che si chiama Cristo, deve venire; quando verrà lui ci annunzierà tutte queste cose (Gv 4, 25). Quali cose? Adesso i Giudei si battono ancora per il tempio e noi per il monte; quando il Messia verrà, ripudierà il monte e distruggerà il tempio, e c’insegnerà davvero ad adorare in spirito e verità. Ella sapeva dunque chi poteva ammaestrarla, ma ancora non si rendeva conto che il maestro era già lì con lei. Però, ormai era degna che egli le si rivelasse. Messia vuol dire unto; unto in greco è Cristo, e in ebraico Messia; e nella lingua punica, “Messe” significa “ungi”. Queste tre lingue, l’ebraico il punico e il siriano, hanno tra loro molte affinità.
28. Dunque la donna gli dice: So che il Messia, che si chiama Cristo, deve venire; quando verrà lui ci annunzierà tutte queste cose. Le dice Gesù: Sono io, io che ti parlo. La samaritana ha chiamato il marito, il marito è diventato capo della donna, Cristo è diventato capo dell’uomo (cf. 1 Cor 11, 3). Ormai la fede ha ristabilito l’ordine nella donna, e la guida verso una vita degna. A questa dichiarazione: Sono io, io che ti parlo, che altro poteva aggiungere questa donna alla quale Cristo Signore aveva voluto manifestarsi dicendole: Credi a me?
29. Nel frattempo, sopraggiunsero i suoi discepoli e furono sorpresi che egli parlasse con una donna. Si meravigliarono che egli cercasse una che era perduta, lui che era venuto a cercare ciò che era perduto. Si meravigliarono di una cosa buona, non pensarono male. Nessuno, però, disse: Che cerchi? o: Perché parli con lei? (Gv 4, 27).
30. La donna, dunque, lasciò la sua anfora. Dopo aver udito: Sono io, io che ti parlo e dopo aver accolto nel cuore Cristo Signore, che altro avrebbe potuto fare se non abbandonare l’anfora e correre ad annunziare la buona novella? Gettò via la cupidigia e corse ad annunziare la verità. Imparino quanti vogliono annunciare il Vangelo: gettino la loro idria nel pozzo. Ricordate quello che vi ho detto prima a proposito dell’idria? Era un recipiente per attingere l’acqua; in greco si chiama “idor”perché in greco acqua si dice idor come se noi dicessimo: acquaio. La donna, dunque, gettò via l’idria che ormai non le serviva più, anzi era diventata un peso: era avida ormai di dissetarsi solo di quell’acqua. Liberatasi del peso ingombrante, per annunziare il Cristo corse in città a dire alla gente: Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto! Con discrezione, per non provocare ira e indignazione, e magari persecuzione. Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto; non sarà lui il Messia? La gente uscì, allora, dalla città e si dirigeva verso di lui (Gv 4, 28-30).
31. Frattanto, i discepoli lo pregavano dicendo: Rabbi, mangia. Infatti erano andati ad acquistare provviste, ed erano tornati. Ma egli disse loro: Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete. I discepoli, allora, si domandarono: Che non gli abbia qualcuno portato da mangiare? C’è da meravigliarsi se quella donna non aveva ancora capito il significato dell’acqua, dal momento che i discepoli non capiscono ancora il significato del cibo? Il Signore, che aveva visto i loro pensieri, come maestro li istruisce, e non con circonlocuzioni, come aveva fatto con la donna che ancora doveva chiamare suo marito, ma apertamente: Il mio cibo – disse – è fare la volontà di colui che mi ha mandato (Gv 4, 31-34). Anche nei confronti di quella donna, la sua bevanda era fare la volontà di colui che lo aveva mandato. Per questo le aveva detto: Ho sete, dammi da bere, con l’intenzione di suscitare in lei la fede e bere quella fede e poterla così assimilare al suo corpo: al suo corpo che è la Chiesa. Questo è dunque, egli disse, il mio cibo: fare la volontà di colui che mi ha mandato.
32. Non dite voi: Quattro mesi ancora e poi viene la mietitura? Era tutto infervorato della sua opera, e pensava già a mandare gli operai. Voi calcolate quattro mesi per la mietitura, e io vi mostro un’altra messe già biancheggiante e pronta per la mietitura. Ebbene, io vi dico: levate gli occhi e contemplate i campi: già biancheggiano per la mietitura. Quindi, egli si preparava a inviare i mietitori. In questo caso si avvera il proverbio: “Altro è il seminatore e altro è il mietitore”, affinché gioiscano insieme il seminatore e il mietitore. Io vi ho mandato a mietere quello per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nel frutto del loro lavoro (Gv 4, 35-38). Che significa? Ha inviato i mietitori e non i seminatori? Dove ha inviato i mietitori? Nel campo dove altri già avevano lavorato. Infatti, dove già si era lavorato, si era di certo seminato; e ciò che era stato seminato, era ormai maturo e aspettava solo la falce e la trebbiatrice. Dove bisognava inviare i mietitori, dunque? Dove in precedenza i profeti avevano predicato: essi infatti erano i seminatori. Se non fossero stati loro i seminatori, come avrebbe potuto giungere a quella donna la notizia: So che deve venire il Messia? Già questa donna era un frutto maturo, e le messi erano biancheggianti e attendevano la falce. Dunque, io vi ho mandati: Dove? A mietere ciò che voi non avete seminato; altri hanno seminato, e voi siete subentrati nel frutto del loro lavoro. Chi erano quelli che avevano lavorato? Erano Abramo, Isacco e Giacobbe. Leggete il racconto delle loro fatiche: in tutte le loro fatiche c’è una profezia del Cristo; per questo furono dei seminatori. E Mosè e gli altri Patriarchi e tutti i Profeti, quanto dovettero soffrire seminando col freddo! Ora, in Giudea la messe era matura. E un segno sicuro che la messe era matura fu che tante migliaia di uomini portarono il ricavato dei loro beni venduti e lo deposero ai piedi degli Apostoli (At 4, 35), liberandosi dai pesi del mondo, e si misero a seguire Cristo Signore. Prova davvero convincente che la messe era matura! E cosa ne seguì? Di quella messe furono gettati pochi grani e con essi fu seminata tutta la terra, e va sorgendo un’altra messe che sarà mietuta alla fine del mondo. Di questa messe è detto: Quelli che seminano fra le lacrime, mieteranno nel gaudio (Sal 125, 5). Per questa messe saranno inviati come mietitori, non gli Apostoli ma gli angeli: I mietitori – dice il Vangelo – sono gli angeli (Mt 13, 39). Questa messe cresce fra la zizzania, e attende la fine dei tempi per esserne separata. Ma quell’altra messe, cui per primi i discepoli furono inviati, cui i profeti avevano lavorato, era già matura. E tuttavia, o fratelli, notate cosa è stato detto: Gioiscano insieme il seminatore e il mietitore. Distinta nel tempo è stata la loro fatica, ma la medesima gioia li unisce, in attesa di ricevere insieme, come ricompensa, la vita eterna.

33. Molti samaritani di quella città credettero in lui per ciò che aveva detto la donna, la quale attestava: Mi ha detto tutto ciò che ho fatto. Quando, dunque i samaritani andarono a lui, lo pregavano di restare con loro; ed egli rimase là due giorni. E molti di più credettero per la sua parola, e alla donna dicevano: Non è più per quanto hai detto tu che noi crediamo; noi stessi lo abbiamo ascoltato e sappiamo che questi è veramente il Salvatore del mondo (Gv 4, 39-42). Soffermiamoci un momento su questo particolare, dato che il brano è terminato. Dapprima fu la donna a portare l’annuncio, e i Samaritani credettero alla testimonianza della donna e pregarono il Signore di restare con loro. Il Signore si trattenne due giorni, e molti di più credettero; e dopo aver creduto dicevano alla donna: Non è più per quanto hai detto tu che noi crediamo; noi stessi lo abbiamo ascoltato e sappiamo che questi è veramente il Salvatore del mondo. Cioè, prima credettero in lui per ciò che avevano sentito dire, poi per ciò che avevano visto con i loro occhi.È quanto succede ancor oggi a quelli che sono fuori della Chiesa, e non sono ancora cristiani: dapprima Cristo viene loro annunciato per mezzo degli amici cristiani; come fu annunziato per mezzo di quella donna, che era figura della Chiesa; vengono a Cristo, credono per mezzo di questo annunzio; egli rimane con loro due giorni, cioè dà loro i due precetti della carità; e allora, molto più fermamente e più numerosi credono in lui come vero salvatore del mondo.

(Sant’Agostino, Commento al Vangelo di San Giovanni, Città Nuova)


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