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Anfibi di carne e spirito

Omelia sulla parabola del servo spietato
(undicesima Domenica di Matteo)
del p. Daniele Marletta

Il Vangelo di questa Domenica vuole ricordarci una cosa fondamentale per la nostra vita spirituale: il fatto di essere noi tutti dei debitori insolventi. Di più: spesso noi siamo proprio quel debitore di cui si parla nella parabola, quello che prima supplica perché si abbia pazienza con lui ma che poi non è in grado di avere la tessa pazienza con il suo fratello.

“Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro” (Lc 6, 26) dice il Signore. E noi dovremmo chiederci: quanto siamo lontani dall’essere misericordiosi?
Spesso, quando un ortodosso prova a spiegare a un non ortodosso le regole del digiuno, si sente invariabilmente rispondere: “Ma come fate?” Come se il non mangiare carne e latticini sia poi così difficile. Certo, può essere più o meno difficile, in base ai nostri bisogni, ma anche ai nostri vizi e alle nostre cattive abitudini, in generale però il digiuno non è difficile quanto sembra. Perdonare le offese, invece – rimettere i “debiti” – è difficile. Perché? È difficile perché noi siamo in un certo senso – senza saperlo – degli anfibi.
Gli anfibi sono quegli animali che vivono sia nell’acqua che sulla terraferma, come rane e salamandre. Questi animali vivono una parte della loro vita in acqua e poi si stabiliscono sulla terraferma. Hanno sempre bisogno però di vivere vicino all’acqua: se portiamo una rana in un luogo arido, infatti, morirà presto.

Anche noi siamo anfibi, come le rane, anche se in un modo diverso. Noi viviamo nel nostro corpo e nello spirito, e per questo abbiamo bisogno sia di cibo carnale che di cibo spirituale, siamo carnali e spirituali insieme. C’è però una grande differenza tra noi e le rane: le rane cercano istintivamente l’acqua. È da lì che sono nate ed è lì che passano la maggior parte della loro vita e del loro tempo anche quando hanno finito di trasferirsi sulla terra e hanno perso le branchie. Tutto il ciclo della vita della rana gira intorno all’acqua. Noi, al contrario, potremmo vivere tutta la vita ignorando il fatto di essere degli anfibi, delle creature di carne e spirito e così, spesso, ci curiamo della nostra carne ma non del nostro spirito. Per questa ragione, anche quelli che sanno bene di essere fatti di carne e di spirito si trovano di fatto più a loro agio a trattare con la propria carne. Per questo, quindi, troviamo più facile il digiuno che il perdono.

Ritorniamo però al Vangelo di oggi. Noi preghiamo tutti i giorni con le parole del Padre nostro, che siano rimessi i nostri debiti “come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Forse non c’è commento migliore di questa parabola alle parole della preghiera. Il servo spietato della parabola è infatti un debitore che non rimette il debito. Questo ci mostra un fatto importante: è Dio, per primo, a rimettere il debito. Dio non aspetta che noi siamo degni di questa remissione. Semplicemente, rimette il nostro debito e ci lascia andare. Dio dà il perdono all’uomo senza attendere che sia stato lui, prima, a perdonare il suo fratello. Il “come noi li rimettiamo ai nostri debitori” non è una condizione, è la conseguenza del nostro credere realmente al perdono di Dio. Se infatti noi credessimo realmente al fatto che Dio, incarnandosi e morendo sulla Croce per noi, ci abbia dato il perdono, saremmo portati a ripetere spontaneamente questo gesto verso i nostri fratelli. “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10, 8), dice il Signore. Ecco: se noi non diamo è perché non abbiamo apprezzato il dono di Dio, è perché non crediamo realmente di aver ricevuto qualcosa da Lui. Eppure Dio stesso si è fatto anfibio, come noi. Ha preso carne e si è fatto uomo e ha vissuto la nostra stessa vita nella carne, perché l’uomo potesse prendere spirito e farsi Dio vivendo nello Spirito.

Noi siamo abituati a trattare il nostro corpo e il nostro spirito come scompartimenti stagni, senza comunicazione. Il fine della vita spirituale, invece, è proprio di metterli in comunicazione. Non è solo la mia anima che deve salvarsi, devo salvarmi io, tutto intero. Per questo noi dobbiamo imparare a vivere la nostra condotta morale come una conseguenza della nostra fede, non come una serie di regole a cui bisogna obbedire. Non dobbiamo perdonare il nostro fratello perché Dio ci ordina di fare così: dobbiamo perdonarlo perché Dio, per primo, ha perdonato noi per l’opera del Figlio suo Unigenito a cui è l’onore e la gloria, col Padre e con il Santo Spirito. Amin.

(Pronunciata il 30 Luglio /12 Agosto 2018)

 


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