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La spiritualità ortodossa. Una tradizione vivente

del Vescovo Fozio di Triaditza

Oggi è di moda parlare di spiritualità: una nozione vaga, se è tolta dal suo intrinseco contesto neotestamentario e composta da un conglomerato amorfo di qualsiasi cosa possa associarsi alla cosiddetta “cultura spirituale” o a dei “valori spirituali”. In questo conglomerato è inclusa la “spiritualità religiosa”, nozione non meno vaga delle altre, e una semplice variante di esse. In realtà, non è senza motivo che i religiosi liberali di oggi si attengono esattamente al concetto di “spiritualità” come a una sorta di denominatore comune di tutte le religioni, un concetto che offre opportunità illimitate per ogni tipo di fumosa ricerca teologica. Il termine tradizione è stato incrostato , per lo stesso motivo, di così tanti strati di connotazioni, da rischiare di perdere quasi completamente il suo significato patristico originale, non solo a causa della sua profanazione e implicazioni colloquiali, ma anche perché ha perso chiarezza nel lessico teologico. Basta ricordare il suo uso nel senso di trasmettere ciò che è convenzionale.

Per parlare della spiritualità ortodossa come di una tradizione vivente, è necessario trascendere in modo apofatico tali costrutti contemporanei, i loro strati di significato e i valori che essi riflettono: cose che, quando imposte alla spiritualità ortodossa, offuscano la sua profondità e la sua forma autentica, rendendo impossibile comprendere l’Ortodossia proprio in quanto tradizione vivente, per farla diventare una delle “convenzioni” della “spiritualità cristiana”, o un deposito di fenomeni culturali morti. Vi sono però anche altri ostacoli a una genuina comprensione dell’Ortodossia. C’è, per esempio, l’interesse dilettantesco contemporaneo per la religione e la sua “spiritualità”. Il moderno dilettante “religioso” è rapito dagli elementi esteriori alla moda o anche prestigiosi che circondano la religione, riducendo così l’ardua natura della ricerca spirituale a una sorta di civetteria intellettuale.

Volendo farne un ritratto a tinte forti, come viene vista l’ortodossia e la sua spiritualità, alla luce delle tendenze intellettuali e dei sistemi di valori prevalenti, nelle varie aree dell’indagine intellettuale, compresa la teologia, e alla luce del cristianesimo occidentale? Vorrei presentare diverse risposte distinte:
• In termini generali, l’Ortodossia è oggi riconosciuta, nel nostro paese, come un elemento costitutivo e di supporto per il sostegno della coscienza nazionale e culturale bulgara, nonostante le limitazioni storiche di questa funzione. Spesso tutta la sua importanza si riduce a questo. Il ruolo dell’Ortodossia nella formazione dell’identità nazionale è senza dubbio sostanziale. Vi sono, tuttavia, alcuni limiti entro i quali l’Ortodossia, per quanto riguarda una Chiesa Ortodossa locale organizzata secondo le sue prerogative nazionali, può essere identificata con le caratteristiche nazionali di un popolo specifico. L’Oriente ortodosso ha sempre aspirato ad adottare e, per mezzo della grazia, a trasformare spiritualmente quegli elementi di una cultura nazionale che potrebbero migliorare l’incorporazione spirituale di un particolare popolo nell’egemonia dell’Ortodossia universale. A seguito della secolarizzazione della coscienza nazionale nell’Europa del XIX secolo, però, la nostra gerarchia di valori è stata sconvolta. La nazione e i suoi interessi sono diventati valori fini a sé stessi. Come risultato dell’ascesa di valori legati agli interessi nazionali mondani su quelli della religione e della Chiesa, uno spirito mondano ha lentamente superato le coscienze delle nazioni ortodosse.
• Per il ricercatore secolare in discipline umanistiche, l’Ortodossia e la spiritualità ortodossa sono fenomeni storici e culturali, i cui elementi possono, forse, essere assorbiti nel sistema di valori complessivo di una nazione, ma che non hanno altro scopo.
• Un numero purtroppo elevato di rappresentanti della teologia ortodossa ha effettivamente creduto che il pensiero teologico sia una sorta di libera attività intellettuale, riducendo l’Ortodossia a un sistema di idee sterili; una forma di speculazione intellettuale, simile a quella della filosofia: socialmente “libera”, “creativa”, “problematica”, estranea alla vita spirituale ortodossa, e spesso contrassegnata da un complesso di inferiorità nei confronti della conoscenza secolare e della sua “autorità”. Infatti, chi comprende la teologia ortodossa è colui che vive nel rispetto delle sue dottrine. Il fondamento epistemologico del Nuovo Testamento è questo: chi ama Dio conosce Dio (cfr. I Giovanni 4, 7-8), Lo conosce con una conoscenza al di là della conoscenza intellettuale, una conoscenza in cui l’uomo, nella sua vera forma, modellato su Dio e devoto a Lui, prende parte attiva. Pertanto, l’imperativo categorico del Nuovo Testamento è: “Va’ oltre, in modo da poter conoscere”. Quindi, è teologo, nel “significato esistenziale della parola”, solo chi vive in Cristo attraverso lo Spirito Santo.
• Dal punto di vista della “diplomazia teologica” cattolica romana, l’Ortodossia e la sua spiritualità occupano una posizione apparentemente rispettabile, ma provinciale, sulla scala dei valori spirituali e teologici, il cui fine positivo è la pietosa eminenza del primato papale e l’assoluta supremazia della Chiesa latina come “madre e maestra di tutte le Chiese”. L’antica ostilità del Vaticano nei confronti degli “scismatici” disprezzati dell’Oriente è ad oggi rivestita esteriormente dell’untuoso vocabolario degli ecumenisti. Nel corso degli Anni ’60, gli ortodossi non erano più chiamati “scismatici”, ma “fratelli separati”; oggi sono semplicemente “fratelli”, che tuttavia, indipendentemente dalla loro designazione, rimangono ancora oggetto del proselitismo romano, che si adatta ai venti dominanti.
• Fortemente radicati nell’innovazione protestante dell’”adeguamento alle Scritture” e disapprovando tutto ciò che viene dalla Sacra Tradizione, i moderni teologi luterani e calvinisti considerano l’Ortodossia, nel suo complesso, come un’ala conservatrice del cristianesimo non latino, una cosa antiquata e fossilizzata nella sua solennità liturgica. Salvo qualche scintilla di intuizione, il protestantesimo, formato e cresciuto a partire da un individualismo religioso estremo e, a volte persino isterico, considera quasi inevitabilmente le esperienze spirituali ortodosse come parte di una vita spirituale obsoleta, così come considerano l’Ortodossia, nella sua attuale manifestazione ecclesiastica , come una specie di primitivo campanilismo religioso.

Com’è possibile allora trovare la via che conduce alla spiritualità ortodossa come tradizione vivente, quella via che ci permetterà di realizzare questa tradizione e sentire la sua bellezza spirituale soprannaturale?
• In primo luogo, questa via non deve essere trovata al di là della Chiesa, l’una, la santa, cattolica e apostolica Chiesa Ortodossa di Cristo; questo, ovviamente, a patto di non intendere la Chiesa come un semplice sistema di astratti concetti teologici o filosofici o, al contrario, semplicemente in termini di funzioni amministrative tangibili o funzioni sociali empiriche, ma considerandola come il dominio essenziale della stessa spiritualità ortodossa e la teologia che riflette quella spiritualità.
• In secondo luogo, il contatto vivo con la spiritualità ortodossa richiede uno sforzo personale, una lotta per “spogliarsi dell’uomo vecchio” (Efesini 4, 22), un agone spirituale, una mente piamente orientata verso “il mistero di Dio e del Padre e di Cristo ”(Colossesi 2, 2), e non verso le “tradizioni degli uomini”, non secondo gli “elementi” di questo mondo, ma secondo Cristo (cfr Colossesi 2, 8).
• Nel contesto in cui è qui presentata, la Sacra Tradizione nella Chiesa Ortodossa non è semplicemente ciò che è conservato nella memoria degli uomini o una continuità di riti e costumi, ma è, soprattutto, l’azione permanente del Santo Spirito nella Chiesa. La Santa Tradizione è la presenza vivente della Chiesa, una presenza che consente a ogni membro del Corpo di Cristo di udire, percepire e conoscere la Verità nella sua luce intrinseca e non attraverso il lume naturale della mente umana: “Nessun uomo può dire che Gesù è il Signore, se non per mezzo dello Spirito Santo ”(I Corinzi 12, 3). Questa tradizione non dipende da alcuna “filosofia”, da nulla che viva “secondo la tradizione degli uomini, secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo” (Colossesi 2, 8). Nelle parole del metropolita Filarete di Mosca: “La vera e santa tradizione non è solo una palese trasmissione verbale di dottrine, regole, ordinanze e riti, ma è anche un passaggio invisibile, reale di grazia e santificazione”. Quindi, nella Santa Tradizione esistono due linee intersecanti e reciprocamente inseparabili, una orizzontale e una verticale: la linea orizzontale delle “dottrine, regole, ordinanze e riti” tramandate da Cristo Salvatore attraverso gli Apostoli e i Santi Padri; e quella verticale, la presenza permanente dello Spirito Santo, di “Grazia e santificazione”, in ogni singola parola della Verità rivelata da Dio. Nella sua dimensione verticale, la Sacra Tradizione non pone solo garanzie formali ed estranee alle verità della nostra Fede, ma manifesta la loro intrinseca autenticità. Non è la Parola stessa, come contenuta nella rivelazione, ma la luce celeste che permea la Parola, il respiro vivificante del Santificatore, che ci consente di ascoltare sia la Parola stessa che il “silenzio da cui la Parola viene”, secondo le parole di Sant’Ignazio Teoforo.

Il nucleo esistenziale della spiritualità ortodossa come tradizione vivente è proprio lo Spirito Santo, la Terza Ipostasi del Dio Uno e Trino e la Grazia che Egli riversa: quell’energia divina increata che si manifesta in modi meravigliosi e molteplici in quanti sono battezzati nell’Ortodossia, in modo commisurato ai loro sforzi volontari e individuali per crescere nella vita spirituale, trasformando arduamente la loro fede ortodossa in azioni. Come ha scritto San Simeone il Nuovo Teologo: “il Dio Verbo si fece carne e divenne uomo, affinché coloro che credono in Lui come Dio-Uomo possano ricevere nelle loro anime lo Spirito Santo come anima (…), e quindi essere rigenerati e rinnovati, purificando la loro mente, la loro coscienza e i loro sentimenti attraverso la Grazia del Santo Spirito (…) Ogni cristiano è obbligato a lavorare nelle opere del pentimento, dell’elemosina e delle altre virtù, al fine di raggiungere la Grazia del Santo Spirito e, attraverso questa Grazia, per venire a vivere la vera vita in Cristo”. Secondo San Macario il Grande, la Grazia dello Spirito Santo, “dimora continuamente, si radica e agisce come lievito nell’uomo (…) E questo Dimorante nell’uomo diventa una cosa naturale, qualcosa di indispensabile, come se fosse di una sola essenza con lui.”

Si può entrare in vivo contatto con questa spiritualità ortodossa attraverso la reificazione ascetica della propria fede, attraverso quella fede del Vangelo che si attiene fermamente sia alla testimonianza degli Apostoli sia alla testimonianza teologica dei Santi Padri.

La teologia patristica è una esposizione spirituale e intellettuale del Simbolo della Fede (il Credo), promulgata attraverso la testimonianza degli Apostoli. È, allo stesso tempo, l’esperienza cristallizzata della spiritualità ortodossa ricolmata di grazia. I postulati dogmatici dei Padri sono essenzialmente la stessa comune testimonianza che è stata consegnata dagli Apostoli di Cristo una volta per tutte. Questa testimonianza apostolica è conservata non solo nella Chiesa, ma vi risiede come un “deposito sempre crescente”, nelle parole di San Ireneo di Lione. Essendo un frutto del deposito sempre crescente della testimonianza apostolica, la dottrina patristica è, allo stesso modo, un riferimento costante della Fede ortodossa, la più alta misura della retta fede. È per questo motivo che è di gran lunga più essenziale fare riferimento ai Padri piuttosto che cercare prove storiche dal passato. Nella teologia ortodossa, i riferimenti ai Padri non sono meno importanti dei riferimenti alla Sacra Scrittura. Ancora, queste due cose non possono mai essere separate. I padri stessi sono sempre stati servitori della Parola ipostatica e la loro teologia è, quindi, intrinsecamente esegetica.

Uno dei tratti distintivi fondamentali della teologia patristica è anche la sua natura esistenziale. I padri hanno fatto teologia, secondo l’espressione di San Gregorio Teologo, “in modo apostolico” (letteralmente “come pescatori”) e non in modo aristotelico. La loro teologia forma una “epistola”, nel senso che ha questa parola nel Nuovo Testamento, ovvero nel senso di una rivelazione della testimonianza apostolica, ma ora attraverso il linguaggio e le categorie del pensiero greco, linguaggio trasfigurato e ricodificato alla luce di Thabor. In ultima analisi, l’oggetto di questa teologia è la fede, un’interpretazione spirituale della fede, non neutrale, intellettuale. Senza la vita in Cristo, la teologia non è convincente; e se è distaccata da una fede vivente, essa può facilmente degenerare in una dialettica futile, in una verbosità senza scopo. La teologia patristica è sempre stata radicata nella fede viva e in una viva esperienza spirituale. E per questo motivo, e nessun altro, essa costituisce l’unico percorso per vivere la spiritualità ortodossa.

La teologia dei santi Padri non è una scienza autosufficiente e auto-espositiva che possa essere esposta in un sistema di argomenti – cioè in modo “aristotelico” – a meno che non sia supportata dalla devozione spirituale di chi ha sete di Dio e della sua verità. Questo tipo di teologia può essere “predicato”, ma non “insegnato” in modo scolastico o accademico. Essa riecheggia nelle parole delle preghiere della Chiesa; è raffigurata nelle icone; vive nelle nostre Officiature; pulsa al ritmo della vita dei Misteri della Chiesa. Questo tipo di teologia non può esistere al di fuori di una vita di preghiera, al di fuori del proprio contesto liturgico e senza crescita ascetica personale nelle virtù cristiane. In effetti, non esiste teologia senza esperienza spirituale, senza entusiasmo per la perfezione del Vangelo. “L’altezza della purezza è l’inizio della teologia”, secondo San Giovanni Climaco.

D’altra parte, la teologia è semplicemente propedeutica. Il suo obiettivo finale è testimoniare attraverso le parole e le azioni al Mistero del Dio vivente. La teologia non è fine a sé stessa, è solo un mezzo per raggiungere un fine. Costituisce un particolare ritratto della Verità rivelata da Dio, l’affermazione intellettuale di cui essa è Verità Questa delineazione è indiscutibilmente necessaria; ma solo l’afflato della pura fede del Vangelo lo impregna di vivido significato. È così che la teologia patristica, sebbene non sia altro che una fede cristallizzata, una esperienza cristallizzata della vita in Cristo attraverso il Santo Spirito, è però il percorso attraverso il quale si arriva all’esperienza reale della spiritualità ortodossa; ovvero, essa è il mezzo con cui arriviamo a partecipare, attraverso la grazia universale, alla vita della Chiesa ortodossa, o, in altre parole, un percorso per il quale incontriamo la spiritualità ortodossa come una tradizione vivente.

(Tratto da Orthodox Tradition, vol XII n. 2
Trad. a cura del p. Daniele Marletta))

 

 

 

 


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