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Nel deserto del Giura

Nel deserto del Giura (La vita degli abati Romano, Lupicino, Eugendo),
a cura dei Monaci Benedettini di Praglia,
Edizioni Scritti Monastici Abbazia di Praglia, 2016.

Recensione a cura della presbitera Chiara Ruth Rantini

Salutiamo con grande interesse la pubblicazione di questo testo, scritto alla metà del VI secolo, in cui sono narrate le vicende biografiche dei santi Romano, Lupicino ed Eugendo, vissuti nel periodo della dissoluzione dell’Impero Romano d’Occidente. Si tratta di tre figure monastiche molto importanti per la storia del cristianesimo occidentale in quanto precedettero di poco la grande riforma monastica benedettina, in un certo qual senso anticipandola.
San Romano fu il fondatore del monastero di Condat che si trovava tra le montagne della Franca Contea, nei pressi della catena del Giura.
Il testo racconta gli episodi più importanti della vita della comunità monastica, a partire dall’operato dei santi monaci, mettendo in evidenza l’esemplarità della loro condotta, senza tuttavia trascurare le differenze comportamentali che fanno di essi, non figure idealizzate, ma uomini veri, autenticamente pervasi dall’amore per Cristo. Con ciò, i santi abati, pur non appartenendo a questo mondo, agiscono nel mondo per cooperare alla salvezza di quante più anime possibili. Lo vediamo chiaramente nell’episodio in cui Lupicino si dimostra misericordioso nei confronti di alcuni monaci fuggiaschi che, dopo aver fatto ritorno al monastero, sono toccati con un medicamento che non sia forte (p. 57) ma adatto alla loro anima.
Così anche nella vita di Romano, bersagliata dai continui attacchi del diavolo, il santo si rivela essere il più alto esempio di carità, astenendosi dal giudicare i monaci che affollano il suo monastero, affidando a Dio solo il giudizio ultimo sul loro essere degni o indegni di tale vocazione. Scrive infatti il santo monaco:
«E ancora quanti, se ripenso indietro, sono precipitati dalle sommità al fondo, mentre ne trovo altri che dalle profondità più basse sono saliti alle più sublimi altezze? E infine, quanti monaci piangiamo, caduti nella vergogna? Ma quante prostitute e quanti buffoni leggiamo che si sono precipitati anche nel martirio per un’improvvisa ispirazione?» (p. 32)
Non inferiore è l’esempio offerto dalla vita di Sant’Eugendo che, per la sua grande umiltà e purezza di spirito, aveva una capacità di discernimento che lo portava a prevedere il futuro per divina illuminazione.
Nel testo agiografico non mancano i riferimenti agli esempi patristici di vita monastica. Si narra infatti che a Eugendo non scappavano mai di mente gli atti o i costumi dei beati Antonio e Martino. (p. 93)
Concludendo, in questo edificante testo troviamo riuniti nell’unica grande sapienza del deserto monastico, Occidente e Oriente, non più divisi ma finalmente insieme come esempi di fedeltà alla Parola di Cristo. Una buona lettura quindi per riscoprire le radici cristiane del mondo occidentale.

Presbitera Chiara Ruth Rantini
(da Luce Vita n. 11)

 


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